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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Simon Benetton

di Marco Celati - martedì 16 giugno 2015 ore 14:50

Sono stato in Comune a Pontedera alla cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a Simon Benetton, un "maestro", uno scultore che lavora ferro, acciaio, vetro e cristallo, materiali spessi, duri, forti che sotto le sue mani diventano forme lievi, leggere: origami, come fossero fogli di carta, strutture spaziali e ascetiche. Capolavori.

Il Consiglio Comunale all'unanimità ha votato a favore del riconoscimento per il valore dell'artista che aveva a suo tempo prestato dodici grandi opere al Comune e ora ha deciso di regalarle: fanno bella mostra di se' in strade e piazze della città, a disposizione dello sguardo di tutti. Benetton, con la modestia delle persone grandi e per bene, ha ringraziato, si è detto orgoglioso del riconoscimento, poi ha parlato dell'arte come fatto pubblico e della sua arte tesa a cogliere la forma con moduli, con tagli, a rappresentare e superare lo spazio, quasi staccandosi da terra, superando la gravità, prendendo il volo. Ha parlato ai bambini della scuola che gli hanno donato una maglietta raffigurante una sua opera disegnata. Anche Benetton disegna le sue sculture, prima di realizzarle con un segno forte e deciso. Aveva tenuto qualche anno fa un laboratorio con alunni e insegnanti nelle scuole della città. Ha detto ai bambini di fare bene, di cercare di impegnarsi e superarsi sempre. Ha ottantadue anni e la lucidità e la vitalità di un giovane. Chi ha visto il suo laboratorio nella splendida Treviso, ne parla con commozione come di un evento: circolare, con il fuoco al centro dove il ferro si rende incandescente, si forgia e gli strumenti artigiani e tecnici con cui si batte, si smussa, si fonde. E poi la sua mostra con le opere di una vita. Le grandi, astratte, ma anche quelle degli inizi, figurative: un pescatore, un acrobata e anche manufatti più ordinari: un cancello in ferro battuto, istoriato da minuti motivi floreali, bello da piangere. Così hanno detto.

Benetton ha parlato di tante altre cose che non ricordo più perché invecchio e quando si è vecchi si rammentano meglio le cose del passato che del presente, forse perché il presente ci appartiene meno e di certo perché la memoria è un registratore che si sciupa col tempo.

È stato ricordato anche un vecchio sindaco che ebbe l'intuizione di portare un po' di arte contemporanea in città e tanti anni fa fu lui ad andare da Benetton a chiedergli delle opere in prestito. È ancora vivo ed è venuto un po' imbarazzato alla cerimonia: "Maestro, si ricorda di me?" Anche Benetton se lo ricordava, si sono stretti la mano. "Abbiamo seminato bene" hanno detto. Ma il vecchio sindaco si schermiva. Mi è sembrato un falso modesto o forse era solo emozionato.

Dopo il conferimento siamo andati a visitare la mostra antologica dell'artista all'Otello Cirri, la galleria del Comune e poi anche alla Liba, la piccola sala privata di Alessandro Gamba, amico del maestro, che ospita alcune sue significative opere. Hanno parlato il Sindaco Millozzi, l'Assessore alla Cultura, il curatore e il critico Claudio Cerritelli che ha ben argomentato, ma sembrava trasognato, spaesato o così almeno mi è parso.

Mentre parlava, anch'io mi sono estraniato: pensavo a questa città metalmeccanica, città di motori, città della Vespa. Ho pensato alle gioie e ai dolori dell'industria, alle conquiste e alle sconfitte del mondo del lavoro. Dai dodicimila occupati alla Piaggio di ieri ai tremila di oggi, all'indotto in crisi, alla delocalizzazione industriale nei paesi del far est. Al genio degli ingegneri, alla fatica e alle lotte degli operai, alla responsabilità dell'impresa. Noi resistiamo e siamo stati e siamo tutto questo. Oggi forse è dalla green economy che potrebbero giungerci nuovi segnali: una zona industriale a questo vocata c'è. Speriamo. Forse occorrerebbe un marketing mirato. Ma non me ne intendo granché. E certo una città, nata operaia e meccanica, abituata al ferro dei motori, come avrà sposato il ferro dei colorati meccani, rappresentati dai mosaici del muro di Baj o le simboliche forme d'arte di ferro di Benetton?

Sono sicuro che le intelligentissime intellighenzie della città avranno avuto qualcosa da ridire: Pontedera non sarà mai una città d'arte! Vero, ma sono fra quelli che ritengono che non ci sia contrasto tra la sostanza di un paese industriale e commerciale e la forma dell'arte. Che la leggerezza non dimentica o fa dimenticare la forza. Il ferro, dice Benetton, non concede pentimenti. Penso che la cultura e il sapere, non saprei dire come, ci aiutino ad affrontare la difficile contemporaneità e l'insondato futuro. Proponendoci interrogativi e stimoli, ci possono forse fornire una chiave variabile di lettura del tempo. Non chiedetemi quale, non conosco bene nemmeno il mio significato, ma penso o spero che gli uomini non nascano e muoiano invano.

E poi le città possono e debbono essere più belle e civili e se non si dà spazio all'arte contemporanea veniamo meno alla tradizione culturale della nostra terra Toscana, del nostro Paese: per cosa diavolo era chiamato "bel Paese"? In questa città è nato Andrea da Pontedera, qui è stato sindaco comunista nel dopoguerra, Otello Cirri, un valente pittore impressionista, a cui è intestata la galleria comunale e un altro sindaco, il socialista Alberto Carpi era un imprenditore. Nella città del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e del campione del mondo di pugilato Sandro Mazzinghi, hanno sede la Fondazione Teatro per la ricerca e la sperimentazione teatrale, il Polo Sant'Anna, Valdera e resiste la Piaggio. Avanti allora..!

Dopo la manifestazione, sono tornato a casa. Ho accompagnato una cena frugale con un vino rosso "CP", Cuore Perduto, delle Tenute Riccardi Toscanelli: Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Non mi intendo di vini, buono però! Suggestiva la leggenda inventata per dare luogo al nome. "In una delle più belle tenute della campagna Toscana, molti anni fa la «signora delle vigne», sporgendosi nei tini perse il suo ciondolo a forma di cuore, regalatole dal suo amato. Venne cercato a lungo, ma non fu mai ritrovato. La leggenda narra che si trovi in una delle bottiglie del vino, denominato per questo Cuore Perduto".

Questa tenuta esiste, risale al seicento, era dei marchesi Riccardi, più recentemente è stata dei Toscanelli. Intorno ad essa vi erano i campi coltivati e le vigne della Val di Cava. I mezzadri obbedivano alle leggi del fattore, ma ingaggiarono anche lotte fiere per il loro riscatto. Ricordo Anselmo Pucci e Lauso Selmi che furono tra coloro che queste lotte guidarono. Erano gli anni '50. Ci furono arresti e galera e la creazione di una classe cosciente contadina delle campagne che, unita a quella operaia cittadina, dette basi e origini ai futuri gruppi dirigenti delle città e del territorio. La campagna e la collina erano luoghi di lavoro e residenza, la tenuta e la villa con le sue cantine e il suo parco botanico erano fiorenti. Oggi molte case coloniche e la grande stalla cadono a pezzi, giacciono abbandonate, riverse in mezzo alla campagna. Solo la villa è stata in parte restaurata dai nuovi proprietari che hanno rimesso a coltura e a vigneto i campi. Ma ci sarebbe bisogno di un nuovo inizio: di condividere un progetto che, nel rispetto dei piani regolatori, mettesse ancora insieme, in forme nuove, crescita e natura. La crisi economica condiziona pesantemente le nostre scelte: non c'è più domanda, non abbiamo maturato una diversa teoria di sviluppo sostenibile e ci rifugiamo nella decrescita felice. Sai che felicità?! Come nella favola di Esopo, "La volpe e l'uva" non riuscendo a cogliere il futuro, diciamo a noi stessi che tanto non sarebbe stato buono, non ci sarebbe piaciuto. E teorizzando la decrescita, scambiamo un tramonto con un'alba. "Era un tramonto che poté sembrare un'alba" disse (a torto) il critico letterario Pier Vincenzo Mengaldo a proposito di Dino Campana e dei suoi "Canti Orfici". L'aveva già detto (a torto) Debussy di Wagner. Evidentemente si confondono spesso albe e tramonti. Chissà! L'immoralità dilagante in Italia rende più difficili i rapporti tra pubblico e privato, li inquina, li ammanta di sospetti, li sottrae ad un'equa e trasparente regolazione, ad un giusto compromesso. Così non resta che la contrapposizione insanabile tra sregolati interessi speculativi e sterile immobilismo.

Dopo cena poi mi sono messo ad armeggiare per casa e anch'io, come Benetton, a mio modo ho fatto un "capolavoro": ho dato nuova luce all'ingressino con la libreria. Ho installato tutto e attaccato la spina alla presa di corrente: funzionava! Ma dovevo scorciare il cavo elettrico, più lungo del necessario e ho preso le forbici per tagliarlo, naturalmente. E naturalmente sono saltato con il cortocircuito che, per fortuna, ha fatto scattare il salvavita e adesso sono ancora qui a raccontarvi questa bella impresa. Avevo preso, per puro caso, le forbici rivestite di plastica e isolate: così solo un botto, spavento, dita annerite e casa al buio. Ma il capolavoro resta: il neon illumina scaffali e libri con una bella luce soffusa e chiara. Ho passato parte della notte ad accenderlo e spegnerlo. Che portento, che terribile meraviglia l'elettricità! E soprattutto che bella invenzione il salvavita!

Al mattino dopo ho sentito la "Signora", la mia bella e dolce tre quarti, che è più di metà: un rapporto a due in cui sono in netta minoranza. Le ho chiesto se aveva letto il mio ultimo racconto, uscito su Qui News e lei mi ha dato il seguente, confortante giudizio.

"Al solito! Butti giù un pot-pourri che altro non è che un tentativo di mostrarti colto e aggiornato su più fronti, ma non ne escono racconti scorrevoli".

"E perché mai i racconti devono essere scorrevoli? Saranno ad imitazione della vita che va come va..." Ho replicato.

"Per far venire voglia alla gente di leggerli. Uno che pubblica è questo che vuole. No?" ha ribattuto.

"Io scrivo solo perché mi piace".

"Non è vero: pubblichi perché vuoi essere letto".

Mi ha sempre incoraggiato a scrivere... Ma purtroppo è vero. L'universo femminino è insondabile. Le donne sono un grande mistero e hanno sempre ragione.

Treggiaia 6 giugno 2015 

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati