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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Una poesia & un racconto

di Marco Celati - venerdì 11 marzo 2016 ore 07:00

IN VOLO

In questa notte di luna potrei volare in cielo,
potrei vivere di niente, dimenticando le cose,
essere leggero come l'aria e non sentire
il cerchio che stringe il cuore ed il respiro.

La vita e la morte vengono per caso:
la dolente vita, la dolente morte, stanotte
staccherò l'ombra dal terrazzo di casa,
anticiperò vita e morte e me ne andrò.

Scenderò dalla collina, sarò sulla piana
sopra le luci delle case e delle fabbriche
dove uomini e donne vivono e lavorano
e fin dove tramonta, lontano, la luna rossa.

Rossa come la passione, l'amore, la fede,
come una febbre, come un sole stanco
nella notte, rossa come il sangue della terra,
una bandiera o uno straccio di speranza.

Volerò sui tetti, anche senza violino,
verso l'azzurro nero della volta stellata,
tracciata da satelliti e aerei in viaggio
e sparirò alla vista, silenzioso e immemore.

Sopra il fiume che scorre verso il mare
sulla pianura bassa dove siamo cresciuti,
dove siamo vissuti, venendo al mondo
e dal mondo cambiato siamo stati cambiati.

23 Agosto 2013

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IL POPOLO VOLANTE

La magia del sonno è coricarsi e aspettare che sopraggiunga. Non importa quando, non importa come, non bisogna pensarci: l'importante è sapere che verrà e poi più nulla, il vuoto, come una piccola morte. Ma non quella tragica e definitiva dei morti prematuri di cui si dice "un giorno atroce li prese e li immerse anzitempo nel buio" . No, il giorno muore e rinasce, del giorno muoiono gli affanni e un sonno ci ristora fino al risveglio. E nel mezzo ci sono i sogni che da dormienti la mente ci proietta. Gli uomini non sanno quel che fanno da svegli e di quello che fanno dormendo non hanno memoria . Ancora Eraclito!

Da piccolo non ricordavo i sogni: poche volte. Mi sembrava di dormire poco, ma profondamente. Ricordavo solo sogni che avevo la sensazione fossero ricorrenti: una grossa auto, forse un camion, che mi passava sopra, lentamente, ma non mi schiacciava, rimanevo indenne, atterrito, sdraiato sulla schiena, appiattito al suolo. In quella che ora è via De Gasperi, all'imbocco con il Viale IV Novembre, c'era uno slargo ghiaioso e un filare di pioppi lanosi e, di fianco, due rampe parallele di cemento su cui salivano i mezzi pesanti e uomini in tuta ci lavoravano sotto, come un'officina all'aperto. Ho questa immagine che a distanza di tempo non so più se sia un sogno o un ricordo, ma a quella specie di incubo, chissà perché, la collegavo. E poi un altro era che il mio viso si dilatava e il corpo saliva in alto e vedevo dall'alto un'altro me. Da giovane, ai tempi dell'università, invece un sogno ricorrente era una specie di casa sotterranea, labirintica dove mi ritrovavo e l'ansia era il disordine, la coabitazione in quella specie di condominio del sottosuolo e le incombenze che dovevo svolgere senza sapere quali, che avevo disattese. Avrei fatto la felicità degli psicanalisti, solo ora me ne rendo conto. Ma a parte queste specie di incubi, in genere era buio il sonno, senza sogni da ricordare. Una porta sul nulla, ma era il riposo.

Da vecchio dormo ancora meno, mi alzo di frequente la notte, come prostata comanda e la memoria è quella che è, però qualcosa in più dei sogni ricordo. Vengono in serie: appartengo a un popolo nomade, che vive in carri o roulotte, la sera ci ritroviamo a volte intorno al fuoco e discutiamo dei conti che non tornano mai e c'è un commercialista odioso che impartisce lezioni di corretta amministrazione e noi lo licenziamo ogni volta o lo mandiamo affanculo e ogni volta riappare a dirci la sua: è un incubo! A volte invece stiamo soli e la sera, coricati, ascoltiamo il vento che soffia e la pioggia che batte e ci piace e dormiamo. Sogniamo che ci addormentiamo e sono gli elementi della natura che ci cullano e ci conducono al sonno. Ma soprattutto abbiamo una caratteristica distintiva della specie: siamo un popolo volante! Sappiamo volare, voliamo. Non è proprio un volo, è come un salto più alto e più lungo, in elevazione sostenuta. Muovendo le braccia e le gambe, lentamente, in sincrono e con grazia, come si fa nell'acqua per restare a galla o nuotare, ci spostiamo nell'aria. È una sensazione indescrivibile di leggerezza: non mi libro tanto in alto, non è in mio potere, ma ad una media altezza sì, sopra le persone, sopra gli alberi e le case più basse. E al risveglio ricordo che, nel sonno e nel sogno, quella notte o quel giorno ho volato. Abbiamo volato, come aironi, come uomini alianti.

Oh, se fosse davvero possibile! Se un'evoluzione della specie a questo ci portasse: potremmo aggirarci per l'aria, volteggiare liberi e lievi, a nostro piacere, come gli uccelli. A parte forse le stagioni di caccia. E io potrei affacciarmi al terrazzino che guarda le colline che scendono in pianura e planare sulla valle, sugli albereti, sui campi, lungo le acque correnti dei fossi e dei fiumi, sulle case e le fabbriche e poi risalire verso i colli lontani, dove stanno altri paesi, altre case e terrazzi. Atterrare su quello dell'amata. I terrazzi aggettanti nel vuoto sarebbero i luoghi di lancio, di approdo e d'incontro. Il cielo la strada e non solo la terra o le acque. In fondo già lo facciamo, abbiamo tentato sin dai tempi di Leonardo da Vinci o di padre Bartolomeu Lourenço de Gusmão e poi ci siamo riusciti con i mezzi volanti dell'ingegno e della modernità. Ma il vero sogno sarebbe volare da uomini e basta.

Treggiaia, 27 Febbraio 2016

Marco Celati

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Volare è ciò che accomuna poesia & racconto, sonno & sogni. "Abstulit atra dies et funere mersit acerbo" é Virgilio, l'Eneide. Eraclito è sempre Eraclito. Padre Bartolomeu Lourenço de Gusmão con la sua macchina volante è in "Memoriale del convento" di José Saramago. La suggestione onirica del volo è da Marc Chagall.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati