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domenica 08 dicembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

La tempesta e altro

di Marco Celati - giovedì 07 novembre 2024 ore 08:00

La notte ha strani rumori. Il muggito delle auto insonni, il latrare inquieto dei cani, il fruscio delle siepi nel vento. C’è una luna storta, alta sulla nuvolaglia e non si vedono stelle, neanche a pagarle oro. Tantomeno quella cometa vagante di cui da tempo si parla. Il brontolio minaccioso dei tuoni e qualche lampo nel buio, annunciano il temporale, promettono la pioggia. Che arriva. E lava la mente e la terra. Spesso devasta. Ho visto un film in tivvù che avevo già visto e dimenticato e mi capita di frequente. Come che la vita si ripeta ogni giorno e ogni notte. Già vista e dimenticata.

Così pensava lo scrittore che cercava un buon inizio. Uno tanto vero da parere finto o tanto finto da sembrare vero. Eppure non è proprio uno scrittore. Gli piace scrivere, non può farne a meno e non gli viene nemmeno facile. Verosimile o vero, che importa? È solo paccottiglia, minutaglia, sono lettere confuse, desuete o fin troppo abusate. L’importante è che l’incipit funzioni e introduca la scena e l’autore. Con i suoi pensieri, i suoi inutili lamenti, il suo mondo introverso e ombelicale, dove ciò che succede non riguarda nessuno, se non lui. E forse, ormai neanche lui. Scrivere è sbollire l’ego, o la sua superfetazione. L’echo dot trasmetteva Cesária Évora, “Sodade”.

Fuori la tempesta prendeva forza, si faceva sentire anche dai doppi vetri che ci isolano dalla bufera e dal mondo. O pretendono di farlo, perché noi lo pretendiamo. I vecchi, a che servono? A cosa? A scrivere memorie o dimenticare. Qualcuno ha scritto che sono esentati dall’obbligo della felicità e che il loro sangue non interessa a nessuno. Inutile resistere. E sì che la società invecchia.

Comunque “era una notte buia e tempestosa”, questo in buona sostanza -si fa per dire- scriveva, digitando sulla tastiera, e ripeteva come un disco rotto. Quando c’erano i dischi, un secolo fa. Poi si arresta. Vuoto. Niente altro gli viene da scrivere e già la costruzione della frase è scontata e indolente. Vecchia, già sentita. Spenge il tablet, non certo l’ultimo della sua generazione, con i fastidi che dava alla scrittura e i giga della memoria più esauriti di lui. Andrò a dormire, domani qualcosa mi verrà in mente. Di nuovo.

Al festival “Sete Sòis Sete Luas”, i seguaci di Saramago gli hanno chiesto la ricostruzione di una "storia" da dire in pubblico che gli dava pensiero. Un esercizio di memoria difficile per almeno due ragioni: la prima perché non ha memoria e la seconda, qual era? Ah, che preferiva invocare il diritto all’oblio: meglio essere dimenticati che ricordati male. E poi doveva partecipare ad un premio letterario. È finito tra gli undici finalisti. Si saprà come è andata. Sarò undicesimo, ma non è mica una corsa! Un figlio, il matematico, gli ha fatto i complimenti, conosce il valore dei numeri: undici, dopotutto, è un numero primo. L’altro, lo psicologo, che cura le persone affette da disturbi, gli ha detto, pensa al dodicesimo. La soddisfazione e la bellezza di avere gemelli eterozigoti! Parlare in pubblico, voleva essere esonerato. Astenersi. Non è come scrivere. Per parlare occorre dire, essere precisi. Né brevi, né lunghi. Catturare l’attenzione, quando non la benevolenza. Esporsi. Nemmeno scrivere gli riesce bene, ma è meglio. Si può dire, non dire, giocare con le parole. Al massimo essere letti, mica ascoltati. E poi si è soli.

A smanettare sulla tastiera gli prende un principio di dissociazione. Autore, scrittore o scrivente, chi sono? Lo salva una botta di sonno, meglio dormire. Prima di coricarsi e tirare giù l’avvolgibile, come al solito, va sul terrazzo. Controlla il tempo e la notte che avanza. Rientra assonnato, nel dormiveglia, e poco ci manca che gli prenda un colpo al cuore. Che già non è dei più forti. China sul tablet, intenta a curiosare e leggere, c’è un’ombra, una figura. È un uomo!

⁃ Celati! Come sei entrato?

⁃ Ero già qui, nascosto. Il cognome Celati vorrà dire qualcosa, non solo nomina, anche “cognomina" sunt consequentia rerum e poi io e te siamo la stessa cosa: te sei me, non ricordi?

⁃ Insomma… Che ci fai qui?

⁃ Cercavo una citazione di un libro di Walter Siti, “Resistere non serve a niente”.

⁃ Sì, l’ho finito di leggere da poco. Guarda Marco che io non sono te, semmai te sei me. Sei il mio pseudonimo, quello con cui scrivo e mi firmo. E non sei nemmeno il solo. C’è un altro. Più che pseudonimi siete altri, da me e di me: eteronimi, come Pessoa. Solo, lui era più bravo e ne aveva molti.

Tacciono. Questi scambi di ruolo tra l’autore e la sua firma sono spiazzanti, pesanti. Fanno strano. Marco Celati sbadiglia, gli succede quando è in imbarazzo, si fa assalire dalla spossatezza e invoca il sonno. Continua a leggere ancora un po’ e anche lui si addormenta sulla tastiera.

Nella stanza cala un silenzio irreale. Quando, ad un tratto si sente schiavardare alla porta. Entra qualcuno.

⁃ Libero Venturi, tu quoque! Come hai fatto a entrare?

⁃ Avevo conservato le chiavi, caro il mio autore. Tò, quel poetastro mezzo rincoglionito del Celati. Che fa? Dorme? È sempre sulla breccia? Siamo erba cattiva, dura a morire…

⁃ Pedante e arrogante come sempre e per di più politicante. Chiudi la porta. Non ti avevo mandato in pensione, te e i tuoi “Pensieri della domenica”? Non è nemmeno domenica e non ci puoi augurare il solito, stucchevole “buona domenica e buona fortuna”. Grillo parlante, anzi scrivente, dei miei stivali, che vuoi?

⁃ Niente, niente, un po’ di nostalgia, me ne vado subito. Lo sai no, come si dice? Gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto!

A quel punto, la porta era ancora socchiusa, dall’ombra esce e irrompe il celebre Commissario Favati, puntando la pistola. Gli sbirri fanno così e le sorprese e le disgrazie non vengono mai sole.

⁃ ASSASSINOS, DELITO!? MÃOS AO ALTO!! MANI IN ALTO!!!

⁃ Ma come cazzo parla questo?

⁃ Parla mezzo portoghese, per darsi un tono, ma non l’ha mai imparato, nonostante il ritiro in pensione a Capo Verde. Che fai Commissario, abbassa la pistola, sono con i miei eteronimi. Com’è che sei qui?

⁃ È un po’ che sono sulle vostre tracce, stavo seguendo questo tipo sospetto aggirarsi intorno alla casa. Ma, a proposito di eteronimi, stavo origliando, anch’io lo sono allora!

⁃ Te sei un mio personaggio, è diverso.

⁃ Tanto diverso che mi hai fatto morire Pilar, la maestra di ballo, e ucciso anche me, per la seconda volta sul molo di Mindelo, alla deriva, in mezzo all’Atlantico. Ora che avevo trovato Dores, la letterata ermetica. Non bastava avermi fatto nascere Commissario, dandomi un nome ridicolo, Nedo, e un cognome osceno, Favati. Ai toscani piace il comico, la burla, le risa, il vernacolo e sentirsi parlare. Meglio cercarsi un nuovo autore, uno scrittore per il verso!

⁃ Vabbè, io non sono uno scrittore, solo uno che scrive, facciamocene una ragione. Te Venturi, intanto ridammi le chiavi e va’ via, tornatene in pensione. Dopo una certa età e una cert’ora i vecchi dovrebbero essere esentati da intervenire in pubblico o fortemente sconsigliati; esci, lascia in pace il povero Celati, che anche lui siamo sulla soglia ormai. E te, Commissario, lascia andare il Venturi!

⁃ NO. ELE FICA AQUI!!!

Il tono della voce del Commissario, alto e perentorio, sveglia il Celati dal suo torpore.

⁃ FICA qui?! Quando?

⁃ Vuol dire “resta” in portoghese, cretino! Sono circondato da incapaci… Colpa mia che sono l’autore.

⁃ Comunque, che resistere non serve a nulla può anche darsi, ma che nessuno lo voglia il sangue dei vecchi, come dice Walter Siti, mi fa specie. E che oltretutto siano esentati dall’obbligo della felicità, ne vogliamo parlare?

⁃ Una volta tanto siamo d’accordo, Celati, anche a nome della categoria.

⁃ Quello del Siti mi sembra un libro sulla complessa banalità del male, della finanza, dell’età e dell’amore.

⁃ Bello, ma cinico.

⁃ O forse bello e cinico.

⁃ Piuttosto vero.

⁃ Verosimile.

⁃ Ha preso lo Strega nel 2013!

Il dialogo va avanti così, che non si sa più chi parla e chi risponde. Un po’ come nel libro del Siti. E chissenefrega. L’ho conosciuto Walter Siti. Da giovane veniva spesso all’ARCI, in Borgo Stretto. Normalista, colto e simpatico, che non erano cose facili da stare insieme. Specie a Pisa. Cominciava a parlare appoggiato al tavolo, poi ci si sedeva e infine ci si sdraiava sopra, di fianco, proseguendo a parlare. Non ricordo di cosa. Saggi, poesia, letteratura, politica. Poteva parlare di tutto.

E mentre la notte si addentrava nel giorno, loro continuavano, tiravano tardi ancora svegli: lo pseudonimo, l’eteronimo e il personaggio, il Commissario, che, nel frattempo e per fortuna, aveva riposto la pistola. Si lamentava di Pilar, di Dores e di Capo Verde: gli mancavano. L’ineffabile Celati citava, il pedante Venturi pontificava. L’autore era stanco morto.

⁃ Basta, andate tutti affanculo, io vado a letto. Buonanotte. Fate quello che vi pare!

Si coricò e si addormentò subito, come da tempo non gli succedeva. Sognò che c’era un temporale, la tempesta e altro. Sognò che lo venivano a trovare i suoi diversi sé, i suoi personaggi. È un sortilegio la notte.

Fuori intanto, smessa la pioggia, un grillo notturno aveva ripreso a frinire. La temperatura ancora per poco lo consentiva. È un maschio, le femmine sono mute e non è una discriminazione di genere. Solo natura. Loro hanno più sviluppato l’udito. Sono più brave ad ascoltare. Ascoltano le serenate di richiamo e corteggiamento d’amore che fanno i maschi in giro tra loro. E chissà cosa ascoltano ancora. I grilli campestri e del focolare sono creature solitarie, criptiche, opportuniste. Grandi saltatori. Dicono che un grillo smette di cantare quando deve lottare contro un rivale, quando piove ed è freddo. Oppure quando è vecchio, e muore. Pochi mesi sono tutta la sua vita.

Marco Celati

Pontedera, Ottobre 2024

Marco Celati

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